Oratorio della Santa Trinità

La confraternita di Taggia dedicata alla S.S. Trinità e nota come i “Rossi” risale tra la metà e fine 500’. I confratelli, che utilizzano la veste rossa, si impegnavano costantemente nell’assistenza dei pellegrini e degli ammalati, utilizzando un sistema di ospizio e ospedale annesso a monte dell’oratorio e dedicato a sant’Orsola. 

L’edificio sacro si presenta con un notevole portale di accesso in pietra che affaccia sull’omonima piazza della S.S. Trinità, con una facciata a due ordini, pausasti da lesene culminanti in capitelli dotati di festone e infine all’apice, un timpano regolare, accompagnato alle estremità da elevati pinnacoli.

L’interno è ampio, a navata unica, con due cappelle laterali poste poco prima dell’area presbiteriane. Quest’ultima ha una pianta rettangolare, piuttosto larga, adatta alle celebrazioni più impegnative con una volta a botte.

Le pareti sono scandite da lesene binate e ribattute, che accompagnano una trabeazione ricca di decorazioni a stucco, a partire dal presbiterio. 

Questa prima fase ornamentale viene successivamente arricchita da una serie di interventi particolarmente concentrati tra la seconda metà del XVIII secolo e il primo Ottocento, quali ad esempio le statue di San Giuseppe e San Domenico opera di Giuseppe Adami. 

Nella maestosità dell’oratorio, sicuramente ciò che emerge é il pregevole organo di fabbricazione ottocentesca che si trova sopra a una cantoria particolarmente ricca di elementi decorativi, con un trionfo di strumenti musicali dipinti. 

L’organo può essere annoverato fra quelli di “media dimensione”: si tratta di una produzione lombarda di tardo Ottocento, dunque in grado di proporre un risultato di una certa enfasi, adatto a svolgere un repertorio con risvolti operistici melodrammatici. 

Per quanto riguarda il complesso decorativo dell’oratorio ci troviamo di fronte a una fusione di elementi di tipo scultoreo-architettonico a presenze pittoriche, in rapporto a una tempistica non programmata, ma occasionale e legata all’iniziativa di vari personaggi e fattori. 

Di fatto numerosi sono i dipinti che accompagnano l’architettonica del complesso, ma tra i molti sicuramente quello più interessante per la sua storia e per il suo pittore è: “Il compianto sul Cristo Morto deposto dalla croce” di Salvatore Revelli. Subito vicino all’ingresso, incassato sul lato destro della navata, possiamo osservare questa grande lunetta a rilievo. 

L’opera è stata donata all’oratorio da Giuseppe Revelli, fratello di Salvatore Revelli e priore della confraternita nel 1865. Si tratta di un’ulteriore redazione di un soggetto già presente in altre sedi, tra cui la redazione definitiva di grande importanza nella chiesa di San Massimo di Torino eseguita in prezioso marmo bianco. 

Da quest’opera terminata nel 1849 e consegnata nel 1851, sono stati tratti due calchi, uno per l’Accademia Ligustica di Genova l’altro per l’Accademia di Belle Arti a Perugia. L’opera di Taggia essendo stata seguita nel 1844 è di fatto il prototipo in gesso per l’originale marmoreo prodotto per Torino. 

Il materiale utilizzato è gesso intriso di collante proteico; la scena è animata e risponde al dettato evangelico: Cristo viene deposto nel sudario, sostenuto da Giuseppe d’Arimatea. San Giovanni evangelista presenta tratti propri dei soggetti funebri, colto in un pianto pensoso e il capo sorretto dal braccio sinistro. Infine, al centro la Vergine è in piedi mentre si avvicina dolorosamente al figlio morto, accompagnata dalla Maddalena e da Maria di Cleofa. 

Quest’opera è stata accuratamente studiata durante il restauro e ciò che stupì era un particolare livello cromatico: l’intera superficie era stata arbitrariamente coperta da una tinta biancastra che senza dubbio voleva far assomigliare l’opera a una più ufficiale realizzazione in marmo. Il modello del Revelli dovrebbe essere stato colorato a Taggia tra il 1865 e il 1872, anno in cui la cromia è attestata a livello critico, probabilmente da varie mani tra cui quelle del fratello dell’autore. Peraltro i confratelli Rossi avevano atteso invano dal Revelli una grande ancora marmorea con una trinità, capolavoro solo immaginato, da porsi all’altare maggiore. 

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